
Flusso di coscienza targato Zanzibar
È normale che una volta tornata alla mia quotidianità Zanzibar mi sembri solamente un lungo – ma bellissimo – sogno?
Da piccola per me rappresentava solamente ‘Paesi che iniziano con la Z’ quando giocavo a nomi, cose e città, ma chi l’avrebbe detto che a 25 anni ci sarei stata e mi sarei persa nei suoi bellissimi paesaggi.
A differenza dell’articolo che trovate qui, dove come al solito racconto quello che ho visto e fatto, vorrei che questo fosse diverso, impostato come se fosse uno stream of consciousness, il flusso di coscienza joyciano dove i pensieri nascono e vengono raccontati come un flusso, senza bisogno di arrestarli o dirigerli in una particolare direzione.
Iniziamo.

‘Hakuna Matata‘ e ‘Pole pole‘. Queste sono le prime due espressioni che mi vengono in mente pensando a Zanzibar; significano ‘Non c’è problema’ e ‘Piano piano’ e incarnano perfettamente la filosofia su cui si basa il pensiero degli zanzibarini. La loro calma, il loro modo di fare lento lento, l’idea che per qualsiasi cosa succeda ‘Non c’è problema’. All’inizio suonano un po’ strane e quasi troppo insistenti, ma poi piano piano, diventano un vero e proprio mantra che finisce per convincerti e farti pensare “Ma sai che c’è? Che forse davvero non è un problema” oppure “Certo che posso aspettare, chi mi corre dietro?”.
Così, qualsiasi cosa, sapore, colore e profumo assume un altro significato. D’altronde gli zanzibarini ti parlano sempre con questo sorriso a 85 denti che non ti viene nemmeno in mente di dubitare delle loro parole.
Ed ecco che il flusso di coscienza comincia a muoversi, si sposta dalla filosofia di vita agli zanzibarini stessi, e dagli zanzibarini ai Masai. I loro vestiti sono di colori sgargianti, come se ogni giorno fosse un giorno di festa, le donne hanno dei turbanti perfettamente annodati sulle loro teste e i neonati sono fasciati come dei fagottini sulle loro schiene. I bambini un po’ più grandi invece sono quasi sempre a giocare vicino alle strade principali e, appena ti vedono, così bianco e così diverso, si aprono in un sorriso e ti urlano “Jambo!” (Ciao!).

Gli zanzibarini sono un popolo meraviglioso, chiaramente anche tra loro ci sono i furbetti, ma si sa che ‘Ogni mondo è paese’; in ogni caso si dimostrano sempre molto premurosi, disponibili e non perdono occasione per ricordarti che a Zanzibar sei il benvenuto.
Tanti di loro ti rapiscono l’anima, altri te la fracassano però, come i Beach Boys, queste figure metà zanzibarine metà presse, che ti aspettano in spiaggia come si aspetta una preda in agguato per proporti escursioni, portachiavi, ecc. NO.
Che poi davvero, non fai in tempo ad andare in spiaggia che ti trovi circondata da 10 beach boys e 10 masai, per cui tu dici “Hey, pole pole“. In queste situazioni forse l’arma migliore è individuare quei 2-3 personaggi tra loro che poi diventeranno i tuoi angeli custodi o punti di riferimento. I nostri erano Alessandro Magno, Comunque e Marco Polo; lì tutti hanno dei nomi d’arte perchè ormai sanno che i loro nomi reali per noi sono pressoché impronunciabili.

Proprio parlando con loro, facendogli domande, ho imparato qualcosa sulla loro cultura e sulla loro vita quotidiana. Parlando con Alessandro Magno ad esempio, ho scoperto che a dispetto di quello che pensiamo noi, che tutti loro vogliano fuggire per cercare fortuna altrove, loro lì stanno bene. L’isola gli dà tutto ciò di cui hanno bisogno: materie prime, servizi principali, acqua, cibo. Le loro necessità primarie – più o meno di tutti – sono soddisfatte. Certo, siamo comunque in Africa e dipende da zona a zona, ma per buona parte di loro è così.

E proprio attaccandomi a queste fila vorrei concludere il mio flusso di coscienza zanzibarino. Uno dei messaggi che vorrei arrivasse senza filtri a chi legge, è che sì, siamo in un’isola costellata di resort e rispetto a tanti paesi del continente qui vivono bene, ma ci troviamo pur sempre in Africa; non aspettatevi i grattacieli di Dubai, non aspettatevi di trovare una connessione Wi-Fi in ogni bar, e non aspettatevi una cultura come quella europea, perché non troverete nulla di tutto ciò. Questo è un mondo a parte, dagli aspetti più piccoli fino a quelli imponenti come montagne.

Ad esempio, stupidamente, a differenza dei mari a cui siamo abituati, Zanzibar è un’isola che risente in maniera significativa del fenomeno delle maree, per cui sappiate che il mare a Kiwengwa – dove ero io – sparisce per circa 6 ore al giorno e, al suo posto, permette di fiorire a centinaia di metri di barriera corallina popolata da stelle marine, lumache di mare e ricci. Per me questo fenomeno è di un fascino immenso, ma non tutti sono in grado di apprezzarlo, semplicemente perchè hanno in mente il mare delle Maldive e si aspettano di trovare quello. Qui non è così.




Zanzibar è vegetazione verde e rigogliosa ma è anche distese color ocra, è case ‘fortunate’ in cemento, ma è anche case i cui mattoni sono fatti di fango, è strade asfaltate ma è anche strade sterrate e polverose. È frutti succosi, così succosi come non ne avevo mai mangiati, è sorrisi che ti scaldano il cuore ma è anche beach boys che ti fanno scaldare e basta. È buon cibo, è l’isola delle spezie, è profumo.
Zanzibar è tutto questo e mille cose di più, ma bisogna essere pronti ad accoglierla e farsi abbracciare, contaminare.
E se tutto questo non fa per voi ‘Hakuna Matata’, troverete sicuramente una destinazione più adatta.
…Non so bene se sono riuscita a rendere il concetto di quello che ha significato per me Zanzibar, ma ci spero davvero tantissimo. Se avete voglia di scriverci qui sotto che cosa è stato per VOI Zanzibar, non vediamo l’ora di saperlo!

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